Intrappolare il sole in una stanza? Utopia? No, realtà. A riuscirci un “artista” che proviene dall’estremo nord che ama i colori appena accennati che improvvisamente si trasformano in rosso, blu o giallo. Un po’ megalomane, qualcuno lo potrebbe definire, ma che con il suo ingegno è riuscito a superare i moderni limiti dell’arte e a trasformare in realtà quello che prima era stato solo immaginato. Di chi stiamo parlando? Di Olafur Eliasson. Un artista? Un designer? Un ingegnere? Alla fine poco importa etichettare secondo regole predefinite la sua produzione e la sua poetica.
Iniziamo subito con qualche nota biografica: nasce in Danimarca nel 1967 da una famiglia di origine islandese, studia presso l’Accademia di Belle Arti di Copenhagen, espone alla Tate Modern di Londra e nelle maggiori Istituzioni internazionali. Una carriera ricca di successi che nel 2014 lo portano alla vittoria del prestigioso premio premio Wolf nella categoria arti. Nel 1995 fonda lo Studio Olafur Eliasson dove collaborano quasi cento persone che lo supportano nelle diverse attività e progetti.
Ma quali sono i lavori da ricordare nella sua carriera? Personalmente i più iconici possono essere individuati in The exploration of the centre of the sun (2017) e The Weather Project (2003). In questo caso la luce è quell’elemento denominatore che tutto forma, delinea e crea. Nel primo caso troviamo un oggetto simile a un poliedro asimmetrico che pende dal soffitto dal quale vengono proiettate variopinte macchie di luce e ombre nella stanza. Lo spettatore è così obbligato, a soffermarsi, osservare, muoversi per scorgere i diversi colori che prendono vita nella sala. Anche in The Weather Project (2003) si parla di luce, ma in questo caso il soggetto diventa un sole, grande, immenso, sembra quasi che Eliasson abbia egoisticamente imprigionato la fonte della vita stessa per farla ammirare al mondo da un punto di vista privilegiato.
Il rapporto quindi tra arte, natura e fenomeni atmosferici si dimostra centrale per l’artista che ne fa un mantra e diventa centro pulsante della sua poetica. Maestoso, arrogante e anche delicato allo stesso momento è stato il progetto realizzato site specific per il Louisiana Museum of Modern Art in Danimarca, Riverbed (2014-2015).
Si tratta della ricostruzione di un paesaggio roccioso con torrenti ricchi d’acqua, massi e fango. Le persone, in quell’occasione, sono state costrette a percorrere un sentiero diventando esse stesse le protagoniste del lavoro. Tanti potrebbero dire contrariati che questa non è arte, ma d’altronde perché non dovrebbe esserlo?
di Valentina Poli
Appassionata d’arte e di cinema, Valentina Poli si è laureata a Ca’ Foscari in Beni Culturali e ha frequentato il Master of Art presso la LUISS con Achille Bonito Oliva. Ha collaborato con numerose riviste d’arte nazionali ed internazionali e con gallerie d'arte. Il suo sogno è quello di fare la curatrice.
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