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Arte privata in luogo pubblico: gli Shuttlecocks di Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen



Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen realizzano dalla fine degli anni ’60 grandiose sculture monumentali installate all’aperto.

Disseminate in una quarantina di città tra Stati Uniti, Europa e Asia, i loro oggetti-scultura sono un irresistibile invito al gioco rivolto al pubblico e agli spazi attraverso l’estetica ludica della riproduzione perfetta rovesciata nelle dimensioni esagerate, dei colori brillanti e piatti, dei soggetti stessi scelti tra gli everyday objects.


Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen, Dropped cone, 2001

In circa 40 anni hanno disegnato su una scala mondiale, adatta alle dimensioni del loro immaginario, una partitura di "macchinari fantastici con cui hanno reso inquietanti ed enigmatici, onirici e insoliti gli orizzonti urbani di decine di città nel mondo” (Germano Celant).

Oggi nelle città che li ospitano i loro lavori sono considerati un patrimonio collettivo che, dopo un periodo di perplessità e negoziazione – che di frequente accompagna l’accettazione dei loro interventi nell’assetto urbano - è amato, custodito, ed è diventato identificativo per molti luoghi.


La coppia Oldenburg-van Bruggen è nel processo creativo e nella vita in comune una “unità di opposti”: una dinamica interessante perché nel momento in cui i due iniziano a lavorare insieme, a metà degli anni ’70, Claes Oldenburg è già un nome rilevante sulla scena della pop-art americana.

Poeta, scrittore, pittore, scultore, performer, a 90 anni ancora in attività nel suo studio di Soho, in realtà ha sempre considerato la sua ricerca lontana dalla pop art, perché costantemente tesa a ri-creare la realtà, piuttosto che a decontestualizzarla, usando materiali e dimensioni inaspettate per rendere i suoi oggetti riconoscibili ma non reali. Ed ecco ad esempio i gelati di pelliccia, gli hamburger di morbido vinile, gli elettrodomestici da gonfiare ad aria.

Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen Binoculars, 1991

Con Coosje van Bruggen, curatrice e storica dell’arte olandese, questa ricerca si evolve ulteriormente instaurando uno stretto rapporto con l’architettura.

È l’architettura delle città infatti l’interlocutore formale del sempre più macro cosmo Oldenburg- von Bruggen, che nel confronto con essa fa emergere nuovi segni urbani che la comunità trasforma nel corso di un continuo dialogo visuale, una dinamica che per loro è molto importante riuscire a innescare.


Oldenburg e van Bruggen lavorano abitualmente su committenza di enti pubblici e privati, e ribadiscono spesso il concetto di “arte privata in luogo pubblico” come dichiarazione di indipendenza di un’arte che nella sua dimensione di totale accessibilità non cerchi la temibile funzione sociale ma sia politica- erotica-mistica e non stia con il culo poggiato in un museo (I’m for an art that is political-erotical-mystical, that does something other than sit on its ass in a museum (…), I’m for an art, Claes Oldenburg, 1961).


Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen, Shuttlecocks 1994

Un’onda vitale di sano senso dell’umorismo, basso continuo dell’esperienza creativa del duo, “the only thing that really saves the human experience” dice Oldenburg, attraversa sempre il loro lavoro.

Tenendo a mente l’invito a cambiare prospettiva e giocare ecco che Shuttlecocks ci appare come nella mente dei suoi creatori: una partita di badminton in larga scala sul grande spazio verde intorno al The Nelson – Atkins Museum di Kansas City che diventa un campo da gioco suddiviso dal museo nelle vesti di una bianca rete neoclassica. Il gioco si basa sulla perfetta verosimiglianza dei 4 volani alti 5.5 metri che sembrano appena atterrati sul campo con la fluttuazione propria delle piume fino a un attimo prima in movimento.


Nelson-Atkins Museum of Art, Campo da badminton

Ma il volano porta in sé anche la prima suggestione degli artisti nata da un quadro di Frederic Remington della collezione del museo che ritrae alcuni Nativi americani con il tipico copricapo di piume. Forse un omaggio, che lega l’interno e l’esterno del museo, il passato e il presente della città.




Giulia D’oro si occupa di organizzazione e produzione di progetti teatrali ed espositivi e di valorizzazione museale.


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