Pare che la fotogenia sia "di moda”, fattore discriminante per autodefinirsi. Se trasferire il sé in un'immagine è sempre stata una delle preoccupazioni peculiari dell’uomo di tutti i tempi, ci sono epoche, come questa, in cui è il topos dell'immagine il motore della vita sociale, politica, privata. Ma non stiamo per affrontare un discorso socio-economico del tipo "valgo perché appaio”.
Frutto misto di passione per il social network, per la fotografia e per le tendenze, tenendomi un po’ distante, ma non troppo, dall’arte nel senso stretto del termine, cercherò di delineare un quadro strampalato (perdonate l’ossimoro) di un fattore nostro: l'importanza che il quotidiano ha assunto per il coolhunter nella moda o il per producer nell’arte. La strada è fotogenica ed il luogo spontaneo dove nascono quelle tendenze che diventano moda.
Il cool hunter lavora nel sottobosco a caccia di idee, di innovazione, che non sempre e non solo può essere associata al mega-mondo dell’arte. Quella che riconosciamo spesso come eccentricità di una nicchia non fa altro che rispecchiare il carattere latente del luogo in cui nasce e, se ci pensiamo, perde anche, di unicità assumendo rilevanza quando si fa tendenza e ritorna ad essere "popolare". Questo è successo nella storia dell’arte per i writer o i fumettisti: personaggi come Blu e Zero Calcare sono diventati modelli stilistici da seguire, di tendenza appunto.
Questo fenomeno li ha posti in bilico tra il background culturale che rappresentano e il mercato che li osanna. Salvi loro finché manterranno integra la personalità artistica. Sta di fatto che hanno influenzato una intera generazione di seguaci.
Il meccanismo del “copia e incolla” è innaturale, ma tanto ambizioso da sembrare spontaneo. Se pensiamo, inoltre, di non essere influenzati da ciò che ci circonda, di essere "contro tendenza" facciamo un errore valutativo e pretenzioso.
La fotogenia diffusa di tutto il secolo che abitiamo condiziona già da un po’ di tempo anche il nostro modo di camminare, oltre che di vestirci, regola la gestualità, l’espressione, luoghi inconsci del nostro comportamento, rivelando che siamo fruitori attenti, osservatori allenati, apprendisti celeri. Per non parlare dei nati dopo il 2006, probabilmente venuti al mondo con una specie di attitudine fotogenica, come una qualità intrinseca. Guardate una scena di strada, passeggiate per le vie del centro cittadino o per i vicoli dei rioni: vi accorgerete di come l’atto di farsi fotografare abbia raggiunto una naturalezza inimmaginabile e caratteristica del nostro secolo. Non si tratta di selfie, foto di gruppo, scatti turistici, ma di come si muove la gente nello spazio.
Può capitarvi di costruire, senza troppo sforzo, scatti languidamente moderni incrociando particolari momenti. Nella classifica “viste da me”: una sposa che corre tenendo in mano un cono gelato in via del Babbuino, Roma; un gruppo di ragazze con orecchio teso ai riverberi degli archi a piazza dei Mercanti a Milano; una donna in tailleur che si lancia a rincorrere il suo cane nei giardini delle mura romane. E così via. Scene di quotidiana bellezza.
Nuovi protagonisti di reportage, è come se tutti ci fossimo abituati a trovarci improvvisamente ritratti, a creare istantanee delle nostre giornate, immagini che rispecchino non solo la nostra estetica, e quella di chi ci fotografa, ma anche quello che siamo, da dove veniamo, perché siamo. Un gusto pan-condiviso ci guida davanti a un obiettivo immaginario, creiamo tutti i giorni ritratti di normalità opacizzata.
Basti fare caso a quanto spazio i social, Instagram soprattutto, riservino alla cosiddetta fotografia di strada: blog e piattaforme online dedicano veri e propri documentari fotografici allo street style attraverso shooting non posati in cui i protagonisti sono raramente professionisti del settore e, sempre più spesso, persone comuni con tratti o caratteristiche fuori dal comune.The Sartorialist su tutti.
Persino tra le contestatissime fashion blogger si è diffuso lo spirito del “basta poco” e si è assunta una certa libertà di espressione.
Non esiste solo la fashion week, ma si scrive ( e si fotografa) di artigiani, putìe e mercanti di stoffe per riscoprire, anche in mezzo alla “snaturalezza” del mondo fashion, il sapore delle cose semplici: Lucia del Pasqua docet su Fashion Politan.
Sostanzialmente quasi tutte le tendenze assunte in sane dosi possono ispirarci darci una piccola libertà di essere ciò che ci piace essere, senza scadere in ciò che agli altri piacerebbe che fossimo. In definitiva siamo, ancora e per sempre, quello che indossiamo - o quello che fotografiamo - e di questo, prescindendo dall’omologazione, potremmo farne strumento identitario senza per forza sentire il bisogno di sottrarci al “sistema”.
di Silvia Maiuri
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