Era il 16 Novembre del 1972 quando un giovane subacqueo romano di nome Stefano Mariottini si immerse nelle acque fronte Riace Marina e, con suo grande stupore, fece una delle più importanti scoperte archeologiche del secolo.
Quel giorno vennero riportarti alla storia contemporanea i Bronzi di Riace.
E' proprio a partire dal ritrovamento di queste intramontabili statue, che voglio parlavi di una mostra d’arte contemporanea molto particolare, direi unica nel suo genere. Una mostra di “reperti archelogici" di fattura odierna.
A questo punto direte: Questo è pazzo? Si sta prendendo gioco di noi? Reperti archelogici odierni?
Sono esattamente le domande che mi sono posto analizzando la mostra di Damien Hirst, tenutasi di recente al Palazzo Grassi di Venezia, Treasures from the Wreck of the Unbelievable (Tesori del Relitto dell'Incredibile), inaugurata con un discorso in cui la direttrice dichiarava un presunto ritrovamento avvenuto nel 2008 a largo delle coste orientali dell'Africa, di una nave romana Apistos (in greco antico “Incredibile” ma anche “non degno di fede”) affondata intorno al II secolo D.C. mentre trasportava la collezione di un liberto di Antiochia.
Quest'uomo ha impiegato dieci anni della sua vita per portare a compimento queste opere d'arte, affidandosi al lavoro artigianale di decine di maestri orafi europei che, per contratto, non hanno potuto dedicarsi ad altro se non all' “assurdo” compito affibbiatogli dal “mentecatto”.
Dalla mente di questo “pazzo senza cura”, sono nate opere faraoniche plasmate nei materiali più preziosi, quali oro, argento, bronzo e perfino qualche perla e smeraldo. Vengono consegnate agli occhi degli spettatori, frammenti e statue di ogni forma e dimensione, tutto incastonato da coralli, spugne e sclerattinie.
Gli ingenui astanti credono di essere esattamente di fronte a delle scoperte archeologiche di grande importanza, come quella dei “Bronzi” ma nella realtà stanno osservando solo dei “falsi”; non vi fu meschinità peggiore o generosità migliore se non quella di consegnare al pubblico una bugia sotto forma di meravigliosa verità artistica.
Una verità che si fa spazio fra l'estremo kitch post-moderno, la cultura pop warholiana e la spudoratezza del writer Banksy. Tra le figure altisonanti delle divinità classiche mediterranee e orientali, troviamo Topolino e Pippo, qualche Transformers e perfino quello che sembrerebbe la raffigurazione dello stesso artista ben nascosta fra le rarità antiche.
Ma tra la finzione e la megalomania dell'artista, è proprio nell'ultima sala di Palazzo Grassi che Damien Hirst, probabilmente stanco di mentire, ci riporta alla poetica romantica insita nell'arte più pura, quella fatta di amore e odio. E' proprio qui che troviamo due mani in malachite in posizione di preghiera Hands in Prayer, il cui calco si presume venga dalle mani della sua madre.
Un'opera così personale e intima che non ci si aspetta da un autore così visionario, non sapremo mai se ci troviamo di fronte ad una preghiera a Dio o ad una preghiera laica, una preghiera di conforto o di distruzione. Non possiamo categorizzarne nessun aspetto, più la si guarda più domande la nostra mente riesce a costruire, come un castello di sabbia che continua a sgretolarsi sotto la furia delle onde. Io, forse soggiogato dal mio stesso ateismo, le do un valore apotropaico perché, infondo, tutti vogliamo allontanare il male dalla nostra vita ma ognuno lo fa con i proprio mezzi. Damien - ormai per me un caro amico - ha scelto la verità alla menzogna ma il suo percorso è fatto di più di 200 opere d'arte.
Di Antonio Caizzone
Antonio Caizzone è uno studente di Medicina e Chirurgia a Messina, sua città natale. Appassionato d’arte contemporanea, ammira, tra gli altri, lo scultore Kevin Francis Gray.
Il suo più grande sogno è quello di lavorare presso la base italiana di ricerca in Antartide.
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