Intervista ad Andrea Janie, Tattoo artist.
I Tatuaggi, come i graffiti, sono mezzi espressivi di antica genesi che hanno sempre fatto parte della storia dell’uomo. Reintrodotti in Europa, e in Italia, come fenomeni della controcultura americana degli anni ’70, si sono progressivamente riscattati dalla loro dimensione di marginalità. Oggi vengono apprezzati in quanto forme d’arte, anche grazie alle tendenze degli ultimi anni.
Abbiamo intervistato Andrea Iannino, in arte Janie (si pronuncia Janì), illustratore e tatuatore blackwork con un passato da street artist. Gli studi di restauro non lo hanno dissuaso dalla ricerca dello stile personale: un linguaggio fatto di simboli e icone supportato da una linea spessa e decisa. Amore, paura, società e ambiente. Le sue opere parlano dell’uomo contemporaneo in modo schietto ma non disilluso, ad accoglierle non è più la parete urbana davanti la quale si fermano i passanti, ma le persone che nella città si muovono freneticamente.
Da dove è cominciato tutto, l’esperienza della Street art ha condizionato il tuo lavoro attuale?
Sono diventato tatuatore un po' per caso, non era il mio mondo, non l'avevo considerato, adesso fa parte di me. Il mio percorso artistico ha sempre avuto diverse sfaccettature ma con un unico filo conduttore: il segno. Ho sempre considerato importante unire lavoro e passione e metterli sotto lo stesso tetto, il mondo del tatuaggio mi ha dato questa possibilità.
Chi ha influenzato la tua ricerca del segno?
Ce ne sarebbero davvero tanti, mi limito a dire Keith Haring, il suo stile inconfondibile e la satira che si celava dentro le sue opere mi ha aperto un mondo; l’illustratore polacco Pawel Kuczynski e Blu, uno street artist italiano, ha concretizzato il mio amore verso l'opera di denuncia sociale, attraverso un segno semplice e spietato.
Da dove nasce la scelta di trattare i temi socialmente impegnati?
Semplicemente da ciò che vedo, che leggo, che sento, come tutti, con la differenza di avere l'esigenza di tirarle fuori con il disegno.
Si ritiene che per dedicarsi al restauro si debba abbandonare la propria ricerca espressiva a vantaggio dell’asetticità. Queste due strade antitetiche hanno un punto di contatto?
L'attività del tatuatore ha ben poco da condividere con quella del restauratore, ma una cosa che lo studio del restauro mi ha donato è sicuramente la pazienza, elemento fondamentale in ambe due le professioni. Mi dedico al tatuaggio come se intervenissi sull'opera, il cliente è il mio committente.
I clienti sono i nuovi committenti dell’arte o dei semplici consumatori?
Nel tatuaggio si agisce come artigiani. I vecchi maestri tatuatori non sono d'accordo sul tatuaggio di massa preferendo l'antica bottega, dove il cliente proveniva da ambienti ben definiti e spesso ai margini della società, il tatuaggio era un gesto estremo. Anche in Italia esisteva una tradizione del tatuaggio tribale, cioè legata ai gruppi sociali, che però è andata in declino agli inizi del XX secolo. Quello attuale ha origini estere ed è un prodotto di tendenza, un accessorio da abbinare ad un jeans o un cappello.
Riguardo l’autonomia artistica: cosa succede quando un cliente si presenta in studio con un idea?
La nascita di un tatuaggio ha molte sfaccettature, purtroppo molti si rifanno a internet per trarre ispirazione, ogni tatuatore ha uno stile, lasciare l'artista libero di creare è sempre la soluzione giusta per avere un lavoro unico e di qualità.
Quali sono gli artisti che guardi di più?
Ci sono tanti tatuatori che seguo, anche se con uno stile differente dal mio come Debora Cherrys, una tatuatrice specializzata in New traditional, ma Suflanda e La Bigotta sono due artisti che ammiro per la loro impronta riconoscibile e il tratto semplice ed incisivo.
Nel passaggio dalla Street Art al tatuaggio hai trovato la realizzazione?
L’obiettivo che mi dona gratificazione è "vendere" i miei disegni, sapere che alle gente piace e vivere di questo, l'ho sempre desiderato e adesso lo sto ottenendo, credo sia questo che cerca un giovane artista, vivere di ciò che sa fare meglio.
Che consigli daresti ai giovani(ssimi) artisti?
Consiglierei di non perdere tempo e allo stesso tempo di perderne tantissimo.
Celestini, De Andrè, Carnesi. Le tue opere citano cantautori e musicisti indie italiani, in che modo ne sono ispirate?
I testi in generale mi aiutano molto ad immaginare uno stato d'animo o una situazione in particolare, a prescindere dal cantautore, spesso trovo ispirazione da cantati che conosco poco o che non seguo, non è facile tradurre in immagine un concetto o come in questi casi il verso di una canzone. Spesso nasce tutto in maniera spontanea, senza forzature, ascolti una canzone, ti piace, nasce il disegno.
Nel caso di De André è diverso, le sue le sue poesie ti restituiscono già un immagine di ciò che vuole dire, in quel caso mi faccio trasportare dalla musica, dal suono e reinvento l'immagine.
C'è una domanda che non ti ho fatto a cui avresti voluto rispondere?
“Sei felice?”: SI.
Per saperne di più guarda il profilo instagram di Janie!
https://www.instagram.com/janitattooer/
di Chiara Castro
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