Il 21 maggio 1961 Piero Manzoni sigillò 90 barattoli di latta, identici a quelli per la carne in scatola, ai quali applicò un'etichetta, tradotta in varie lingue: «Merda d'artista. Contenuto netto gr. 30. Conservata al naturale. Prodotta ed inscatolata nel maggio 1961».
La Merda d’artista è l’icona pop per cui viene immediatamente riconosciuto Piero Manzoni artista che giovanissimo entrò a gamba tesa nell’avanguardia internazionale al fianco di maestri quali Lucio Fontana e Enzo Baj.
E tuttavia non ci fu opera (o merda) più fraintesa di questa!
Considerata provocatoria nei confronti dell’arte stessa o una critica sociale rispetto al boom economico degli anni ’50 e ’60 di una Milano iper-consumista, quest’opera, certamente pop e certamente insolita, potrebbe essere meglio compresa se inquadrata all’interno di un percorso artistico che portò il nostro Manzoni dall’abbandono della pittura fino all’arte performativa.
Se infatti si guarda con attenzione alla ricerca che sta alla base di tutte le sue opere precedenti a questa si prende co(no)sc(i)enza di un fatto: per Piero Manzoni l’opera d’arte non è astrazione, né mimesi; non è il medium attraverso cui l’artista trasmette un messaggio o il sé nascosto, introspettivo. L’opera d’arte è un oggetto concreto che vive la nostra stessa presenza nel tempo e nello spazio. Se già prima di lui, a partire da Duchamp, la domanda ricorrente delle avanguardie è stata “Cosa è l’arte?” e “A cosa serve l’arte?” Manzoni si inserisce perfettamente in questa corrente proponendo un’arte senza risposte ma fatta di oggetti e oggettività.
Dopo la prima esposizione nel 1956 alla Mostra Mercato di Soncino, dove nasce nel ’33, si trasferisce a Milano, città d’adozione, e frequenta l’ambiente artistico in pieno fermento dopo l’avvento dello spazialismo di Fontana. Nel 1957 entra a far parte del Gruppo Nucleare che vede nella pittura la materia più simile al caos che si manifesta in immagini non descrittive. Con i nuclearisti firma il Manifesto contro lo stile.
Tuttavia presto ne prende le distanze poiché inizia a farsi strada in lui l’idea della tela come oggetto autogenerato e senza specifico significato se non quello d’essere. Il quadro non apre una finestra su un mondo a noi estraneo ma ci costringe a entrare con lui in rapporto dialettico. Questi sono gli anni in cui produce gli Achromes e pratica, appunto, il non colore: sono tele o altre superfici ricoperte di gesso grezzo, caolino, su quadrati di tessuto, feltro, fibra di cotone, peluche o altri materiali.
Artista prolifico e sperimentatore instancabile, nel ’59 passerà dalla verticalità del quadro alla tridimensionalità della scultura, largamente intesa, e anticipatrice dell’Arte Concettuale degli anni ’70. Le sue Linee dalla lunghezza infinita, inscatolate ed etichettate, rappresentano il precedente artistico di quello che verrà dopo: la performance sarà l’ultimo approdo di un artista morto precocemente nel 1963.
L’uso del corpo diventa negli ultimi anni centralissimo della sua ricerca: dalle Sculture viventi - corpi di modelle e di intellettuali firmati dall’artista tra i quali si ricordano Umberto Eco e Mario Schifano - in poi. Il corpo, in quanto materia che vive nel tempo presente, chiarisce ancora di più il concetto di tempo condiviso tra noi e l’opera d’arte. Prima di Merda d’artista verranno i Corpi d’aria, comuni palloncini gonfiati con il suo fiato e posti su un piedistallo, le sue impronte digitali su uova sode che i visitatori sono invitati a consumare durante la mostra che le presenta come opere d’arte, la Base magica, un piedistallo a misura d’uomo sul quale chiunque salga diventa un’opera d’arte firmata dall’autore.
Merda d’artista non è, quindi, un’opera provocatoria ma una parte di questo percorso legato al corpo e al nuovo concetto di scultura, lontano dal canone della pietra posta su basamento e tendente alla leggerezza, persino quella dell’aria. La scultura può volare! Non è provocazione bensì un dato di fatto derivante da un pensiero artistico nuovo, personale e prepotente, come lo era Piero Manzoni, capace di mettere in crisi le nostre certezze.
di Silvia Maiuri
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